Ignoto veneto del cinquecento
Regia
Guido Turrisi
con
Ileana Rigano – Alessandra Palladino – Francesca Ferro
Antonio Caruso – Silvio Laviano – Amelia Martelli
TRAMA
Un giovane forestiero (Julio) arriva a Venezia e cade subito nel mirino sia della bella vedova Angela, sia di Valeria che ha da poco preso marito. Oria, la svelta cameriera di Valeria, mandata dalla padrona alla caccia di Julio, lo ritrova nel labirinto della città e gli dà appuntamento per la sera in casa della padrona. Ma Angela è più pronta a fare sua la preda mandando, in giro per le calli, la sua serva (Nena) che, per la ricerca del giovane, si serve di un prezzolato tuttofare di fiducia (Bernardo). Angela riesce nel suo intento ma Valeria non demorde e manda nuovamente Oria alla ricerca del giovane di cui si è incapricciata. Questa volta l’incontro ha luogo ma, la gelosia di Angela rovina tutti i propositi di Julio. Il giorno dopo Oria viene mandata alla ricerca del giovane forestiero che si fa nuovamente convincere per un appuntamento con Valeria pentita di averlo maltrattato. Julio da questo momento in poi trascorrerà i suoi giorni a Venezia alternando, senza gelosia di mezzo, gli incontri amorosi con le due donne.
NOTE REGIA
Leggendo le frasi, le parole, le sensazioni della commedia si ha l’impressione che non sia scritta da una mano maschile perché si percepisce una sorta di tenerezza e di pathos della narrazione tipico della letteratura che parla di “donne allo sbaraglio” per amanti più giovani di loro. Il sospetto che l’autore possa essere un’autrice decisamente non mi abbandona perché alla luce di questa presuntuosa affermazione spiegherebbe tra l’altro, la verità e l’intensità di come le due protagoniste-antogoniste agiscono nei confronti dell’uomo infatti, le invenzioni e le sfrenatezze appartengono tutte ai personaggi femminili della commedia, il ragazzo sta lì solo per replica, per risposta e per subire passivamente le decisioni necessarie per lo sviluppo dell’intreccio. La battuta “Lo sperimentar è cosa bellissima, per avere vantaggio in conoscere” si può perfettamente fare rientrare tra le convenzioni del cinquecento. Non è invece convenzione letteraria il machiavellismo e il calcolo delle due donne che muovono i fili di tutta la vicenda.
Se Mandragola di Machiavelli ha una chiara ispirazione alla novellistica di Boccaccio, la Venexiana non è riconducibile a nessun altra commedia o novella della sua età, non è paragonabile a nulla e, a dire il vero, non credo ci sia mai stato prima di questa commedia un testo in cui il commercio amoroso sia stato rappresentato così dal vivo, non cioè per via di narrazione o di allusioni di questo o quel personaggio, ma obbiettivamente e attualmente e con un’attualità così ardente e una nomenclatura così reali senza, comunque, offendere il pudore della platea. Ma proprio perché il problema di questa rappresentazione non è un problema di gusto e di pudore come qualsiasi altra “pochade” cinquecentesca questa commedia ha un posto a sé nella copiosa produzione del suo tempo. Forse termini di confronto si possono trovare nella più ardente letteratura amorosa femminile le lettere della Monaca Portoghese, le poesie di Gaspara Stampa e per arrivare a tempi più recenti in certi racconti di Colette.
Occorre precisare che il testo, scritto originariamente in dialetto veneto, è stato tradotto in italiano per una corretta fruizione e per l’ormai solita comprensione e immediatezza delle battute e che, alcune lacune dell’azione che, originariamente credo dovessero essere scritte per una rappresentazione itinerante, sono state colmate con l’aggiunta di due scene non previste sull’originale. Questo non rientra nell’utilizzo del copione come canovaccio ma, non amando le improvvisazioni, si è preferito prevedere già in fase di traduzione le azioni dei personaggi senza turbarne, spero, l’intreccio originale.
Domenica 27 febbraio, alle ore 17,30 e 21,00, al Centro Zo di viale Africa, a Catania.
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